Una vita breve.

Pranzo in famiglia significativo, ospiti Kiwi.

Ho aperto bottiglie a cui tenevo. Una perché parla dritta al cuore, un’altra perché mi è stata regalata da un buon amico, l’ultima perché è stato il mio primo acquisto importante, quello per il quale ho dovuto riflettere se valeva la pena spendere i pochi soldi che avevo in quel periodo in una cosa che avrebbe avuto vita breve. Dopo aver rotto il fiato con questa bottiglia, è stata la fine; col senno del poi sarebbe stato meglio continuare a coltivare dubbi sugli acquisti enoici, ma questa è un’altra storia.

A parte la bottiglia del cuore, le altre due sono state bevute da giovani. Avrebbero potuto dare molto di più con un po’ di pazienza, ma l’occasione richiedeva una certa solennità. C’è qualcosa di sbagliato, tristemente attraente nel consumare una bottiglia quando non è ancora il suo momento, quando non è pienamente equilibrata e si intuisce il potenziale che avrebbe avuto se solo si fosse dotati del carattere che domina gli impulsività, la coscienza che interviene al posto della gola, o in generale la stessa dose di pazienza che ci blocca dal dire qualcosa di sconveniente se sollecitati.

Ma non funzioniamo così.

È tardo pomeriggio, dal terrazzo, in lontananza sopra la città esplodono fuochi artificiali che si confondono con la luce del giorno.

Dentro di me penso che spreco.

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