Dentro al vino fino al midollo.

Alle prese con l’ennesimo trasloco, il decimo in sedici anni, mi trovo a regalare generosi vaffanculi distribuiti in vari momenti della giornata. Proprio durante una di queste occasioni che voglio conservare gelosamente nel mio cuore ad imperitura memoria, un amico che si trovava sotto tiro mi ha fatto riflettere su una cosa.

Con un raffinato uso di metafore, mi ha chiesto perché sembra che mi roda sempre il culo. Anche quando scrivo, dice, sembra che io ce l’abbia con qualcosa o qualcuno.

Non voglio soffermarmi sul florilegio di buffetti, carezzine e pacche sulle spalle che gli ho riservato a seguito di questa osservazione arguta: sarebbe scontato e melenso; né mi interessa sottolineare di quale capacità di analisi introspettiva il brav’uomo sia dotato. Per sua fortuna stavo acquistando alcune bottiglie perciò lo stato d’animo era sufficientemente bendisposto, poco incline alla strage premeditata. Però ci ho riflettuto sopra, e sono giunta ad un paio di considerazioni.

Il fatto è che di fondo sono molto timida e mi imbarazza un po’ parlare di quanto ci si senta vivi a dover affrontare un nuovo cambiamento, di come la paura della novità porti a tirare fuori la spregiudicatezza che si pensa di aver perso per sempre. È quasi ridicolo sorprendersi a sentir mancare il fiato quando a quarant’anni ci si bacia come dei quindicenni, e provare le mollezze dei primi amori consapevoli che se non dovessero continuare si è capaci di vivere comunque. È il vantaggio di essere diventati un usato garantito. Potrei parlare qualche buon’ora di una cliente che è entrata in enoteca per dirmi che non cercava un vino, ma un elisir d’amore da far bere all’uomo che le piace, e di come dopo la chiusura siamo rimaste a parlare da sconosciute davanti a due bicchieri, fino a notte. E tra le chiacchiere ho scoperto che è anestesista, perciò spero di averle consigliato bene, che in futuro non si sa mai. Cosa può interessare del viaggio a Lisbona che sto organizzando, il premio per aver dato retta alla pancia ogni volta che mi ha lanciato il segnale chiaro che le cose dovevano cambiare? Trovo poco generoso descrivere nel dettaglio le piccole cose belle che accadono di continuo, mi sembra che parlandone potrei svilirle, ridurle a fatti.

Sono le storture ad essere davvero divertenti; e se qualcosa fa soffrire, parlarne mi permette di raddrizzare il tiro ridendone. La paura della novità, di una nuova responsabilità al lavoro, dei genitori che invecchiano, del bollo da pagare, degli operatori che chiamano per le nuove offerte delle compagnie telefoniche, degli ordini di magazzino che se sono troppi è un casino e se sono pochi è un casino lo stesso, dell’attacco degli Isis mutanti, del corpo che cambia nella forma e nel colore, di quello che sembrava un pelo incarnito e invece era un neo ma me ne sono accorta troppo tardi e intanto l’ho torturato: la memoria è selettiva, per un processo insondabile sono queste le informazioni sulle quali ci si sofferma a ragionare e ridere.

Mentre scrivo sbevazzo un bianco macerato e ascolto Cesaria Evora, Mornas, la tv è spenta. Sono sola in casa.

Mi sono mancata tanto.

 

 

 

Immagine di copertina regalata dall’amica Chiara Dionigi. Però la prossima volta regalamela in alta definizione.

5 Comments
Previous Post
Next Post
Shares