Dichiarazione di dipendenza

Mi mette parecchio a disagio questionare sull’ammòre, anche quando sono con le mie sorelle o con gli amici più intimi e si inizia a parlare dei massimi sistemi, magari dopo una solenne bevuta. Alberoni mi è sempre stato un po’ sul culo, con le sue incommensurabili ovvietà spiattellate sulla prima pagina del Corsera, quegli sciocchi articoli caramellati che descrivevano storie d’amore  alla violetta, nato o finito, pubblicate ogni lunedì. Ricordo con affetto che spesso mio padre li ritagliava e me li presentava sotto gli occhi, nel vano tentativo di calmare la mia iracondia dovuta a un fidanzato che deludeva le aspettative riposte. Ma erano gli anni Novanta e sto divagando.

Immagino sia chiaro a tutti quanto sia improbabile ritenere di avere una vita sentimentale soddisfacente passati i quarant’anni: chi è in una relazione ha dovuto rinunciare a tanto di sé per arrivare al punto in cui si trova, e spesso – non sempre –  l’unico collante è la progenie; i forever young che nonostante i primi segni di canizie non si arrendono all’idea che il meglio è lì che li aspetta nel privé di qualche discotechina di provincia; chi ha i bachi grossi così dentro la testa e non prende impegni o decisioni per chissà quale paura atavica; chi vive in un perenne anno del coglione nonostante non sia sol*, perché ha problemi ad assicurarsi l’affrancatura delle mutande sui propri fianchi; chi si è separato e non ricorda più come si sta bene quando si sta bene; chi non vuole rotture di scatole e taglia la corda alla prima difficoltà di coppia.

Poi ho incrociato loro, e ho dovuto rivedere le mie posizioni.

Erano seduti ad un tavolo poco distante dal mio, potevo ascoltare tutto quello che si dicevano; il resto l’ho intuito ma era facile da capire.

Quei due si sono incontrati nel momento peggiore delle loro vite. Erano rotti e si sono riconosciuti, hanno fiutato il dolore dell’altro e nonostante questo o proprio per questo, si sono piaciuti immediatamente. Non avevano bisogno di raccontarsi: essere uno accanto all’altro era quanto chiedevano per sentirsi al sicuro.

Le parole sono venute dopo, quando l’ostacolo del pudore è stato superato, portando in superficie molto più di quanto si immaginasse. E più uno si avvicinava, ancor più l’altro si ritraeva per la paura di farsi di nuovo male. Sono andati avanti così ancora per poco perché la resa è stata facile, e quando si sono aperti l’uno all’altro, lo hanno fatto completamente, buttandosi senza paracadute.

Si guardavano con la complicità di chi si ama davvero, ridendo con gli occhi, e tutti noi che li osservavamo di sottecchi non abbiamo potuto fare altro che provare un moto d’invidia.

La prima volta si sono baciati in una notte d’inverno e faceva caldo, avevano bevuto molto champagne. Si sono trovati compatibili, l’altezza di lui che racchiudeva la figura di lei: un incastro perfetto. Da quella volta hanno fatto di tutto per essere presenti nella vita dell’altro nonostante i chilometri che li separano e il lavoro che porta via l’anima. Per ritrovare quell’incastro hanno viaggiato, incontrandosi  ovunque anche con difficoltà. Spesso hanno litigato furiosamente cercando di capire con precisione perché uno non riusciva a vedere le cose con gli stessi occhi dell’altro, per poi tornare ad abbracciarsi nell’ incastro che li faceva sentire accuditi e impermeabili al mondo.

Hanno bevuto una bottiglia dall’etichetta indimenticabile: era un Fleur de Savagnin “en chalasse” Domaine Labet. L’ ho visto bene coi miei occhi, la bottiglia ha tenuto testa al pasto completo e ai loro sguardi, ai discorsi pesanti e le risate per cose che sapevano solo loro. Non credo sia facile, non è da tutti i vini accompagnare due persone così per l’intera durata della bottiglia, eppure quando si sono alzati dal tavolo e lui le ha preso la mano, lei gli ha sorriso con gentilezza e poi ha detto amore mio, sono stata felice oggi, ma se mi rompi ancora le scatole come hai fatto ieri, l’anno prossimo per le vacanze vado a fare turismo sessuale in Scandinavia.

E lui ha riso di cuore.

 

 

 

 

 

L’immagine è stata rubata da una illustrazione dell’amato Lorenzo Mattotti senza che lui se ne accorga, spero.

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