Il peso del sagrifizio.

Voi fate sogni ambiziosi. Successo, fama… Ma queste cose costano, ed è esattamente qui che si incomincia a pagare. Col sudore!”

Lydia Grant

 

A vent’anni sono stata una ragazza inconsapevolmente bella; lo posso dire adesso che ne ho il doppio mentre guardo con sorpresa le foto che testimoniano una grazia e un’esilità che non credevo di possedere ma siamo onesti, sfido chiunque sia nata prima del 1995 a trovarsi a proprio agio nella propria pelle a quell’età.

Ora che ne ho quaranta, tento di contenere i danni provocati dai trent’anni spesi a fare esperienze.

Certo, avere a che fare con i vini non facilita il rapporto di collaborazione con lo specchio e nonostante i nobilissimi tentativi di contenimento, ormai devo mettere in campo l’esperienza e imparare a vestirmi seguendo le linee del corpo: non posso scegliere proprio ciò che mi piace, ma è meglio indossare ciò che mi sta bene (verità riconosciuta come postulato del nonno e della carriola).

So che può sembrare incredibile, eppure sono stata una sportivona. Ho sempre fatto affidamento a una buona tenuta muscolare e alla rapidità sorprendente con la quale ad ogni dieta ottenevo un risultato visibile. È in queste occasioni che ho potuto sperimentare su di me il noto teorema delle cinque P: pancia e petto sono direttamente proporzionali al peso perso.

Adesso non è più così. Ho abusato troppo della capacità di adattamento del mio corpo che mi sta chiedendo tregua e lo sta facendo abbastanza chiaramente, utilizzando mezzi scorretti come i jeans che all’improvviso decidono di farsi infilare solo in posizione orizzontale.

Da qualche mese ho ripreso a correre. Con tutto quello che mangio -ma soprattutto bevo- non posso che ringraziare il metabolismo che mi permette di essere così, solo un po’ sovrapp tondina nonostante gli sforzi a cui lo sottopongo. Insomma mi sono imposta di correre con regolarità e lo faccio nel modo più crudele possibile, come ci insegnava nel 1980 la docente Lydia Grant  della New York School of the Performing Arts. Ho reclutato una partner bellissima, ma bellissima per davvero, che mi accompagna di buona lena. Dall’alto del suo metro e settantotto sinuoso e asciutto, con le sue leve scavalla in metà tempo il percorso arrancato dalla sua compagna riconoscibile grazie alle improbabili magliette di cotone grosso ingentilite con stampe tipo “Infissi in alluminio F.lli Crocioni dal 1972”, “I love sugo”,  “Trinidad & Tobago” o “Alfa Sud”.

Certo, bevendo per (semi)professione la corsa non farà molto, ma almeno sto a posto con la coscienza.

Credo.

Ma certo!

E invece non è vero.

Se proprio devo macerarmi nel dubbio, meglio mettere in fresco una bottiglia di Cerasuolo d’Abruzzo -Cataldi Madonna mi ha accompagnata per tutta l’estate scorsa, squadra che vince non si cambia-  e aspettare l’ora dell’aperitivo scrivendo, per convincermi che in fondo forse va bene così.

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