La libertà in una bottiglia – breve storia di una ricostruzione

Non doveva andare così, ieri.

E no che non doveva chiudersi con un nulla di fatto, no!

Mi sono preparata per cinque anni a questo momento; dalla decisione presa con impulsività e subita a orecchie basse sancendo la fine di un impegno preso con entusiasmo e abbandonato a metà strada, passando alla ciclopica opera di ricostruzione di una persona. A partire dal lavoro che non avevo più, parcheggiata dai miei genitori in un’età nella quale le persone dalla vita lineare tentano di riprodursi e concordare  le ferie programmate.

Non più carne e nemmeno pesce, non ero io né quello che avrei desiderato essere nelle mie aspettative.

Ho provato a frequentare uomini, appena il corpo mi ha permesso di prendere confidenza con qualcosa che era diverso da lui negli odori, nella consistenza e nel ricordo della mia pelle. Ho provato, e sono riuscita solo a tirare fuori tutto l’odio purulento che era maturato dentro la ferita fresca e troppo esposta. Con l’odio che spurgava, ho vendicato me e tutte le donne a pezzi come me. Troppo presa dalla mia storia, non ho mai concesso nulla alle speranze che riponevano gli uomini che capitavano sotto i miei abbracci.

Nel frattempo mi sono data da fare, lavori e lavoretti. Un piccolo appartamento in affitto, amiche nuove da frequentare. L’enoteca dove andavo a prendere qualche bottiglia come premio per tanta tenacia, ogni volta che un’udienza mi ricordava che c’era lui nella mia vita.

Un giorno dopo l’altro, un lavoro pazzesco, monumentale per spurgare tutto l’odio e  tornare a vedere la vita con la giusta leggerezza.

Avremmo potuto darci la mano per sancire la fine di tutto, anziché scarnificarci come due bestie feroci.

Oggi doveva finire tutto, mi ero preparata da tempo a questo; e invece no. Bisogna aspettare ancora un mese e passa. Un mese lunghissimo, perché i Tribunali funzionano così, con i tempi della giustizia che noi poveri cristi che non viviamo l’aria che si respira in quei corridoi vetusti non siamo capaci di comprendere. Ci vorrei festeggiare i compleanni con i tempi dei Tribunali. Avrei ancora trentasei anni.

Ma nella mia testa io mi sento già libera, come se fosse stata quest’ ultima udienza rinviata a stabilirlo. Io sono libera e sono felice, e mi viene di dirlo a voce alta. Perché sono riuscita a diventare una persona migliore di quello che ero; perché ho imparato a mantenere la giusta distanza dalle persone che non mi sono chiare; perché sono diventata selettiva e perché so lavorare anche quando di lavoro non ce n’è che non si trova; perché so come si sta quando si perde tutto quello che si credeva eterno.

E siccome sono tutto questo e non me lo devo dimenticare mai, non solo sono andata dal parrucchiere a rasare via tutti i pensieracci che si annidavano sulla mia testa come nel migliore dei cliché, ma voglio festeggiare con una bottiglia onorevole; in ghiacciaia c’è una Riserva del Fondatore Giulio Ferrari 2002. Stasera la stappo per me perché me la merito e per la mia libertà conquistata. Perché libertà è poter dire che sono felice nonostante tutto quello che ho faticato o proprio per questo, e non devo aver paura che tutto questo  mi si ritorca contro in qualche altra udienza. Non voglio sentire mai più la zavorra di un passato impedirmi di vivere liberamente il presente, e tentare di nuovo una famiglia avendone la possibilità.

Mentre a lui che tanto ha fatto nel bene e nel male, auguro di avere la serenità che spetta di diritto a chiunque, senza farsi più condizionare. E una bottiglia migliore della mia, se la trova.

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