Quando la toppa è peggio del buco.

Durante una chiacchierata domenicale con un noto e sagace vignaiolo dell’orvietano e a seguito di una concisa serie di considerazioni, le mie sinapsi hanno permesso di fare luce su alcuni momenti di vita vissuta che avevano lasciato nella mia memoria a lungo termine una sensazione di nebuloso disagio.

Capita a volte di ricevere da persone conosciute da poco o da amici di lunga data, quelli che vorrebbero essere complimenti  ma  quando vengono formulati sortiscono tutt’altro effetto.

Così quando l’amico ritrovato ti scrive a cuore aperto “dai modi eri comunque una donna che non avrei mai frequentato perché le becere chiacchiere ti dipingevano come una pippona saccente, ma ti garantisco che conoscendoti davvero sei davvero una bellissima persona” in realtà vuol dire… beh sì, insomma credo intenda dire che…

Occazzo, perché mai un complimento deve sembrare così sinistro?!

Perché quella parente lontana del mio compagno ha tenuto precisare che prima eri magra ma da quando hai messo su questi chili ora sì che stai bene? Perché sono rimasta paralizzata anziché ribattere che pure lei  da quando è invecchiata ha guadagnato in fascino e cortesia?

Cosa spinge una sconosciuta appena incrociata in palestra, a dire con tono rassicurante “non ti preoccupare, una volta anche io ero come te”? Perché la tizia -non ricordo il nome ma era qualcosa come Crocifissa o Addolorata e si faceva chiamare Fifì- una che ho incontrato milioni di anni fa ad una cena tra amici comuni, senza interrogarmi sugli anni che ci separano dall’ultimo incontro sente il desiderio di dirmi “quando ti ho conosciuta eri così bella ed elegante, sembravi una ballerina ma non ti devi preoccupare, perché volendo puoi tornare come allora”, quando tornare come allora significa essere talmente sotto stress da avere lo stomaco totalmente chiuso e non godere di un singolo momento del mio quotidiano. Perché non ho mai la prontezza di rispondere che è vero, io potrò anche tornare come allora sempre che lo voglia, ma il suo nome rimarrà  Crocifissa o Addolorata, non ricordo, nonostante si faccia chiamare come un carlino. Perché mi domando.

Solo l’amore filiale mi trattiene dal bloccare la mano di mia mamma che mi aggiusta i capelli, ferma nel ricordo di quando avevo otto anni e lei la mia età attuale, ed erano gli anni in cui gli uomini battevano il pugno sul tavolo esclamando di avere l’esclusiva e le donne indossavano abiti più simili a confezioni di caramelle Rossana in colori e dimensioni delle ruches, mentre con lo sguardo concentrato dichiara ecco, così staresti già meglio. E sottolinea con la penna rossa quel già, come se la base di partenza fosse buona per la partecipazione ad un talent show di casi umani.

Insomma, non sarebbe male se ci fosse un filtro che permetta di capire esattamente cosa si intende dire quando si è oggetto di certe considerazioni sinistre.

Perché quando si apre una bottiglia e si sente un odore respingente, dire che il vino odora di cane bagnato ma è un bene perché deve essere così nella natura di quel vino è un po’ come dichiarare ad una povera stordita che di lei si aveva idea che fosse cretina, e invece pensa tu, è intelligente!

Eppure non sembrava.

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