Se la faccia presenta il conto.

Schizzo a matita dell'amico F.S. in arte Sudario Brando, che quei momenti se li ricorda bene perché è allora che ci siamo conosciuti.

Domenica cupa, mi sveglio con l’umore storto. Dopo la consueta doccia, passo alla conta dei difetti allo specchio. Oggi la parte del corpo che merita tutta la mia concentrazione e fastidio è, vediamo vediamo, sì è il collo. Un collo lungo, rilassato, che mostra gli anelli; ne conto due ben visibili. Hanno un nome che è un’evidente presa in giro: collane di Venere. Sembrano gli archetti del vino sul bicchiere, quando una mano petulante agita troppo e senza necessità il liquido contenuto dal vetro lasciando segni netti. Guarda caso, il motivo di tali segni, sia sul vetro che sul collo, è lo stesso: l’alcol.

Ho passato i miei vent’anni gravemente fidanzata con un cristone di due metri, un tipo dal ragionamento veloce e dai vizi genuini. Un ragazzo di paese dalle sane letture; amava “Il giocatore” di Dostoevskij e in particolare la figura della nonna, le storie fallimentari, gli uomini alla deriva; nei primi giorni di frequentazione mi raccontò di come Franz Kafka tenesse per mano la fidanzata, una mano tesa lunga sui fianchi che nascondeva quella di lei per rendere più esclusivo il contatto. Forse era un modo per rendersi più attraente ai miei occhi, non saprei. Ma mi innamorai forte di quel ragazzone solido e strano.

Passavamo i pomeriggi post universitari in sala corse quando era ancora una sala corse e non un ritrovo per famiglie che fanno la puntatina domenicale sulla squadra del cuore. Io mi vestivo bene, ero fresca e mi curavo come tutte le ragazze di venti anni che iniziano ad avere coscienza del proprio aspetto. Coi tacchi e tutto il resto al proprio posto,  studiavamo  “Lo Sportsman” per poi deliberare le nostre scelte allo sportello delle scommesse. Spesso sceglievamo la puntata in base al nome dell’equino, a volte invece perché il cavallo pagava troppo per l’improbabilità di una vittoria. Viking Kronos ci ha regalato tante soddisfazioni, la più importante il giorno dopo del suo compleanno quando batté Varenne, quando questi non era ancora il campione del Prix d’Amérique che tutti ricordano. Ma ci furono tante altre vittorie minori, con cavalli dai nomi bizzarri e dal talento inaspettato. Ricordo lo shock  quando scoprimmo che Herrera usava il frustino elettrico per far correre il cavallo che montava. Così come ricordo il gusto nel puntare su Frankie Dettori idolo di Newmarket – a distanza di vent’anni mi interessa un Dettori che si occupa di vini, sarà il destino.

Io mi vestivo bene (secondo i canoni estetici dell’epoca, longuette lucide e canottiere pastello, e a ripensarci mi crescono i peli sulle braccia dall’orrore) e andavo in posti mefitici, impestati dalla puzza delle MS accese dai relitti umani che gravitavano in sala corse. Uomini dall’età indefinita, che arrancavano in cerca della cedolina vincente buttata per errore da un giocatore distratto; personaggi di provincia dal passato fastoso agli ultimi colpi di coda, accompagnati da improbabili tirapiedi in cerca di vanagloria; ex tossici alle prese con altre forme di dipendenza.  C’era un signore dal passo stanco che veniva in sala puntuale, portando con sé due sacchi del supermercato pieni di vestiti da indossare. Spesso si addormentava russando sulle sedie poste davanti ai monitor.

Io mi vestivo bene e mi sentivo una perla in mezzo a tanto squallore, e ci sembrava di stare a Santa Anita in attesa della giocata vincente che avrebbe svoltato la giornata.

Poi erano grandi sbicchierate di robaccia per me e lattine da sei per lui, felici. Senza consapevolezza, eravamo  quelli con la possibilità di poter scegliere in mezzo a tanti esseri umani dalla vita irrimediabilmente destinata ad un unico percorso. Charles e Linda Lee con le spalle coperte da due famiglie solide e un futuro comodo davanti a noi.

Due anelli sul collo non saranno mai l’esatta misura di quanto questa testa ha immagazzinato vivendo quei vent’anni volutamente decadenti eppure vivissimi. Il mio corpo è una tavola dove si sta scrivendo la mia storia. Devo smetterla di detestarlo per i segni che porto, perché sono la prova che tutto ciò che c’è stato fa di me quella che sono, oggi.

Adesso però devo ricordare una storia personale che mi faccia piacere anche la cellulite; non sarà facile.

 

 

 

(Schizzo a matita raffigurante Il vecchio Charles, opera dell’amico F.S. in arte Sudario Brando, che quei momenti se li ricorda bene perché è allora che ci siamo conosciuti.)

6 Comments
Previous Post
Next Post
Shares