1988 – grande annata personale.

In queste poche pagine non ho mai nascosto il sogno di lavorare nel settore enologico.
È accaduto dunque che con i colleghi del corso sulla commercializzazione del vino nei mercati internazionali -un corso che con il nobile scopo di esportare il meglio della produzione enologica regionale, ha radunato una quindicina di professionisti dell’alcol dediti alla convivialità estrema- sono andata in visita presso una cantina che rappresenta il fiore all’occhiello delle aziende vitivinicole del Centro Italia, ovvero la Cantina Lungarotti.

Non mi soffermerò a descrivere quanto accogliente e ordinato sia il wine shop, né di come sia meticolosa e amorevole la cura delle vigne ad opera dell’enologo Vincenzo Pepe o dell’occhio di riguardo verso l’ambiente grazie al riutilizzo delle biomasse, oppure di quanto siano imponenti le cisterne e ben curata la barricaia. Non parlerò dell’importanza del nome Lungarotti nella storia dei vini italiani, del marchio DOC conquistato nel 1968, il settimo conferito in Italia. E naturalmente non farò menzione dell’amichevole cortesia che ci ha riservato Francesco Zaganelli, Export Manager dell’azienda che ci ha aperto le porte non solo della cantina, ma anche del caveau dove sono conservatele migliori bottiglie dal 1960 ad oggi, e ci ha mostrato con precisione come sia strutturato il lavoro, dalla vigna all’amministrazione senza trascurare l’accoglienza.
No, niente di tutto questo.

Io voglio concentrarmi sul fatto che durante la degustazione nella quale ci siamo cimentati con spirito di abnegazione, il nostro ospite dapprima ci ha misurati omaggiandoci di una panoramica completa di tutta la produzione Lungarotti, compresi i nuovi nati L’U bianco e rosso, creati per conquistare i palati nordamericani. Poi, commosso da tanto senso del dovere da parte nostra, è passato all’artiglieria pesante stappando una meravigliosa e immeritata bottiglia di Torgiano Rosso Riserva Villa Monticchio del 1988.

Commovente.

Nel 1988 avevo tredici anni e ricordo quell’anno perché è stato l’anno in cui ho dato il mio primo bacio; era settembre, mese di vendemmia, e mi trovavo dai nonni. Fuori della giurisdizione genitoriale, durante una passeggiata serale con gli amici del paese, Andrea mi rubò un bacio di quelli con la lingua, da grandi. Ricordo la sensazione di attrazione e repulsione e la voglia di riprovare questo contrasto di emozioni ancora una volta, anzi al più presto.

Non so bene se sia questo il potere evocativo del vino. So che sono passati 26 anni da quando quella bottiglia è stata riempita a quando è stata stappata, e così certi ricordi sopiti dentro la mia testa, riaccesi vividamente al primo sorso.

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