Storia di una anziana ribelle

La signora Effe era una donna di una certa età minuscola e asciutta.

Si era sposata da giovane, e aveva messo al mondo tre figli di cui andava molto fiera. Appena la prole si rese autonoma, la signora Effe mise fine al suo matrimonio divorziando dal marito al quale offriva servizio come donna delle pulizie.

La signora Effe prestava servizio anche a casa dei coniugi Gi.

Ossequiosa e riverente, quando i due erano semplici conviventi Effe si rivolgeva alla Gi appellandola signorina. Subito dopo aver contratto regolare matrimonio, Effe prese a chiamare la novella sposa Signora Gi, con la esse maiuscola caricata dall’enfasi che l’acquisizione di un nuovo stato civile esigeva.

Appena sposati i signori Gi vantavano una cantina molto generosa. I vini prediletti erano i bianchi di Edi Kante: vitovska, malvasia, sauvignon e Brut KK in quantità; se li facevano spedire dal produttore con regolarità perché erano i primi a finire, consumati tra di loro e condivisi con gli amici.

Tra una camicia da stirare e le pulizie da fare, la signora Effe si confidava – sempre con reverenza e rispettoso ossequio – con la Signora Gi, cercando in questa una specie di assoluzione per aver lasciato il marito in tardissima età. Mi trattava sempre con sufficienza. Dovevo vestirlo, pulirlo, stirarlo, lo curavo come un figlio quando era mio marito e avrebbe dovuto avere LUI cura di me! Ho fatto bene a lasciarlo, vero Signora Gi? Anche se sono vecchia, mica posso morire avendo vissuto come donna delle pulizie di mio marito, vero Signora Gi? Almeno facendolo come lavoro vero e proprio, prendo qualche soldo; vero Signora Gi? Io non voglio star sotto a nessuno. Voglio essere autonoma, e mio marito non me lo permetteva. Ho fatto bene o no, Signora Gi?

La Signora Gi l’ascoltava attentamente e annuiva, ammirando quel coraggio racchiuso in un minuscolo fascio di nervi e muscoletti, mentre pensava tra sé che se era finita a fare la donna delle pulizie presso altre famiglie, probabilmente c’era molto altro che Effe nascondeva nei suoi bollettini di vita coniugale.

La Signora Gi si era accorta che le bottiglie aperte la sera prima e non finite, subivano un drastico calo dei liquidi contenuti ogni volta che la signora Effe girava per casa. Eppure non ne era infastidita. Credeva fermamente che una donna così decisa, capace di compiere una scelta tanto drastica in un’età in cui la gente normale tira la riga delle somme e si gode la meritata tranquillità, aveva il diritto sacrosanto di concedersi un bicchiere di vino buono e appagante. La Signora Gi lo aveva raccontato anche al marito, e ne avevano riso insieme, concordi nel considerare quella bevutina furtiva una specie di premio.

Con il passare del tempo, anche tra i signori Gi si era insinuato il germe dell’insofferenza. L’amore aveva ceduto il posto al rancore, e la signora Effe se n’era accorta. Cercava sempre più complicità con la Signora Gi, tentando di sostenerla goffamente con parole di sostegno mentre faceva finta di non intuire che i due coniugi si stavano allontanando inesorabilmente.

Un giorno, mentre la Signora Gi si trovava fuori città, ricevette un messaggio dal marito. Sono entrato in casa dopo l’ufficio, credevo di essere solo ma sentivo dei rumori strani. Sono andato a vedere stanza per stanza, e dentro lo studio, al buio c’era la signora Effe stesa sul divano, senza scarpe, che se la dormiva della grossa russando come un tricheco. Ti sarebbe piaciuta tanto…

La Signora Gi sentì un tuffo al cuore.

Due mesi dopo si separarono.

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