Brut Méthode Champenoise “Le Grandes Attentes” de Mme Boriosovka

Come è potuto succedere?

Dove sono finita?

Ero uva  vivace, acerba. Non sono mai stata smaliziata, o almeno non lo sono stata fino a quando ho messo il naso fuori casa. Curiosa e timida (sì, straordinariamente timida) ho sempre osservato senza mai espormi troppo più per paura di dire sciocchezze che per mancanza di argomenti. All’inizio ero una cuvée di poche qualità e nessuna di queste particolarmente risonoscibile.

Con le prime infatuazioni e il lavoro durante gli studi universitari, ho vissuto la fase propedeutica alla vita. Il primo amore è stato le liqueur de tirage che mi ha dato gli zuccheri e lieviti necessari per favorire la presa di spuma che ha dato corpo al carattere che mi porto dietro,  un processo propedeutico a ciò che è venuto dopo.

Così dopo l’imbottigliamento nella routine sentimentale troppo precoce, è partita la fermentazione in orizzontale. Man mano che il fuoco sacro della voglia di vivere ribolliva, come in una poupitre, piano piano le fecce dovute a tutto ciò che non volevo essere e invece mi trovavo a vivere per dovere sociale si depositavano inesorabilmente sulla mia testa, appesantendo i pensieri e vivendo una esistenza stretta e non più gestibile.

Ci sono voluti diversi anni di affinamento e sapiente remouage di psicoterapia per capire che la sbagliata non ero io ma nemmeno lui, e nemmeno il nostro lavoro che incideva drasticamente sul nostro rapporto cominciato con poca maturazione di esperienze.

È stato inevitabile: un dégorgement  perfetto, le fecce dei pensieri più bui e distruttivi erano sapientemente depositati sulla bidule del mio cervello, mentre una mano ferma e precisa –la mia- rimuoveva con un colpo preciso il tappo  facendo sboccare i residui da eliminare. Inoltre avevo un lavoro nuovo di zecca presso un museo della città, a coronare una vita di studi sulla Storia dell’Arte con le maiuscole. Ma le liqueur d’expedition  è arrivato troppo in fretta, e che liqueur! Di prima qualità proveniente da  non so che vino misterioso, forse un elegante  Pinot Noir affinato a sua volta in chissà quale rovere francese, ed era bellissimo e mi faceva sentire l’unica al mondo. La tappatura è stata inevitabilmente immediata. E tappo e bottiglia calzavano alla perfezione.

Ci deve essere stato un errore, e ancora adesso non capisco di quale tipo: forse il sughero non era di gran qualità e aveva troppe pretese che non venivano considerate, o più facilmente, la gabbietta metallica non era in grado di serrare la pressione causata dal liqueur d’expedition e nemmeno le sue mutande potevano contenere tanta esuberanza verso altre bottiglie, e insomma è saltato tutto. Ed è saltato in modo drammatico e teatrale, e pure la sciampagnotta è esplosa, e i frammenti sono così piccoli e frastagliati che non riuscirò mai –sono sicura- a raccoglierli tutti in una sola vita.

E adesso un po’ di questo brut si è salvato, è sul fondo di ciò che rimane della bottiglia. Dopo tanti sapienti passaggi di vita affetti risate e tribolazioni la bollicina è fine, e i profumi sono molti e non immediatamente distinguibili; in bocca il sapore è persistente e rimane a lungo, soprattutto per ammissione di pedanteria. Però a causa dell’esplosione, di quantità ne è rimasto poca.

Ho disatteso tanto di quello che avrei voluto essere. Dove sono finita che non mi trovo?

Dicono che sia normale, che capita che rimanga poco vino. E che ci sia una grande nostalgia per quello che si era e che non si è più.

Però poi passa tutto, dicono. Come una brutta sbornia.

ubriaca3

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