Felicità: un bicchiere di vino o fare un bambino.

Un sabato sera in casa con un paio di amiche. Il compagno, che non distingue un vino da due euro da uno che ne costa duecento, si è saggiamente defilato per lasciarmi spazio sufficiente a dare un motivo alla riunione: ho scampato un esame clinico piuttosto fastidioso; devo riprendere le forze e lo faccio bevendo vini del Sud, salentini per la precisione. Negroamaro Doxi Alezio della cantina Coppola a volontà, lo ha portato un’amica, devo prendere energie. Il negroamaro è denso, un balsamo che dà conforto.

Abbiamo superato abbondantemente l’età per avere un bambino nel pieno delle nostre forze. Sarà il vino, sarà l’esame scampato, ma le chiacchiere vengono fuori  pastose e tutte vertono su di un unico argomento: la maternità.

Siccome il vino apre tutti i chakra e risveglia la memoria a lungo termine, riconduco la causa dei miei ragionamenti al rapporto con mia madre. Ricordo quando, bambinetta curiosa, chiedevo a mia madre personale come vengono al mondo i bambini. Non parlo di api che impollinano i fiori: io volevo sapere esattamente come usciva fuori dalla pancia prominente delle amiche di mia mamma il bambino che poi avrei visto nella culla. Lei allora mi guardava con aria misteriosa, sentenziando solenne: i bambini escono fuori dal sedere.

Gli anni di lotta femminista sostenuta da mia madre negli anni 70 nulla potevano contro il pudore dell’educazione catto-veneta inculcatale da mia nonna: per la mamma, il sedere era l’unico nome dell’apparato riproduttivo femminile e maschile. Non esisteva nemmeno la ripartizione in sedere davanti e sedere didietro che ne avrebbe facilitato la comprensione. Il sedere era un corpo unico, dove nella mia fantasia succedeva di tutto.

Si può immaginare lo shock, quando ad ogni scena di parto che la TV passava durante i film vedevo l’attrice spingere come un compressore, mentre la immaginavo alle prese con la più colossale caccona immaginabile all’unico scopo di far uscire un bambino da quell’orifizio. Un trauma che è durato fino all’arrivo delle mestruazioni, quando mia madre è stata costretta a spiegare meglio in cosa consistesse anatomicamente il sedere. Avevo tredici anni e molte idee confuse.

Ho speso anni a pregare Dio di non darmi bambini quando sarei stata donna, nella speranza di risparmiarmi tanto dolore. Ma siccome quando gli Dei ti vogliono punire realizzano i tuoi desideri, da grande e con una diversa prospettiva di vita, questa possibilità mi è stata concessa.

Sono rimasta incinta solo due volte. In entrambi i casi non c’è stato nulla da fare. Non voglio soffermarmi sul dolore, sia fisico che emotivo causati dagli episodi. Molte donne sanno sulla loro pelle cosa significhi sentire un battito che cessa senza un perché, non c’è altro da aggiungere.

L’ultima gravidanza, avvenuta pochi mesi fa, ha cambiato drasticamente la forma dei miei fianchi tanto da dover rinunciare ad alcuni dei migliori vestiti che conservo nel guardaroba. Tra i mille pensieri balenati nella testa quando ho scoperto il test positivo, ricordo con imbarazzo di aver pensato anche solo per un secondo a quanto mi sarebbe pesato rinunciare al vino. A dirla tutta, quando ormai vicina al quarto mese ho perso il bimbo, ho creduto che la causa fosse anche la nostalgia del calice. Ma c’è un motivo preciso: avevo appena iniziato un corso a numero chiuso per studiare il mercato del vino all’estero, stavo investendo tempo e denaro sulla mia formazione. Non poter partecipare alle degustazioni e ai viaggi per cantine rendeva la gravidanza quasi una punizione: una volta scelta la strada da percorrere, mi si poneva un ostacolo bellissimo che avrebbe sconvolto tutte le aspirazioni verso le quali avevo rivolto tanta energia.

A gravidanza interrotta, mentre stavo a letto in preda ai temibili morsi uterini, ho cominciato a ragionare sul fatto che le cose avvengono per un motivo preciso. Forse questa è la spiegazione che mi ha permesso di accettare meglio questo dolore: avevo un progetto chiaro, probabilmente incompatibile con la maternità.

Addentrarsi nello studio del vino non è cosa semplice; è una attività dispendiosa che richiede dedizione, allenamento e tempo per potersi muovere. Una gravidanza avrebbe impedito la mia formazione, tutt’ora in corso. Ad esempio, non riesco a immaginare quanti Riesling devo buttare giù ancora per cogliere alla cieca le differenze tra un Auslese e uno Spätlese dandoci dentro a tutto spiano, comprando vini o partecipando a degustazioni mirate, magari a centinaia di chilometri da casa. Insomma, trattare seriamente il vino (cioè fare quello che non sto facendo io in questo spazio) non è cosa accessibile a tutti. Non è sufficiente caricare nei social foto di bottiglie dall’ etichetta moderna e giovane; capire il vino significa soprattutto percepirne i difetti e le storture per cogliere appieno e godere la perfezione di una bottiglia giusta. Ma soprattutto, credo che il vino porti ad una vita poco sana e difficilmente compatibile con la maternità.

E siccome il Karma è beffardo, immagino che gli Dei stiano prendendo grandi appunti su ciò che ho scritto, e allora sì che saranno grasse risate.

 

 

 

In copertina, un’immagine tratta dai Simpson, ottava puntata della quindicesima stagione, “Marge contro single, anziani, coppie senza figli, teenager e gay” (Singles, Seniors, Childless Couples and Teens and Gays Against Parasitic Parents).

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