Gallina vecchia fa schifo (i miei unici quarant’anni).

La leggenda narra che, ultima di tre figlie femmine, quando nacqui il dottore uscì dalla sala parto trafelato e scuro in volto: “signor Boriosi, mi dispiace”, disse. Si può immaginare il terrore che provò mio padre in quel momento.
“ È un’altra femmina”.
Ci vollero poche frazioni di secondo per far gonfiare mio papà come un toro: “È sana?”, chiese, e alla risposta affermativa esplose trattenendosi a stento dall’appiccicare il dottore al muro: “Ma a lei cosa gliene importa se è femmina, a me le figlie femmine piacciono, si limiti a fare il suo lavoro!”.
Erano gli anni Settanta, e ancora non esistevano le ecografie né l’attenzione al politicamente corretto.

Ecco, io sono arrivata fino ad oggi con questa precisa sensazione cucita addosso: sentirsi benvolute ma non esattamente all’altezza delle aspettative riposte, e con la disperata necessità di avere qualcuno più solido di me a farmi da scudo.
Con questo senso di inadeguatezza sono stata ragazza fino a quasi quarant’anni; un periodo troppo lungo per essere goduto come si deve. Come diceva quel tale, bisogna lasciare la festa prima che sia finita.
In questi quaranta nuovi di zecca ne ho macinata di strada: amori e amoracchi, matrimoni sbagliati, lavori poco appaganti o mal retribuiti, occasioni perse o appetiti troppo grandi per essere soddisfatti, varie ed eventuali non trascrivibili per motivi di decoro. Non mi sono fatta mancare nulla, insomma niente di più di quanto una persona sana e curiosa possa aspettarsi in tanti anni di vita.

Siccome con il tempo ho capito che mi piacciono le cerimonie, ho deciso di festeggiare questi quaranta sfavillanti regalandomi una bottiglia che mi rappresenta moltissimo, un Jérôme Prévost – La Closerie – Pinot Meunier in purezza, ovvero l’uva più sfigata dello champagne che però esprime la sua complessità e potenza invecchiando. Mentre descrivo le qualità di questo champagne e le analogie con me, vorrei darmi un buffetto sul mento strizzando l’occhio davanti allo specchio per completare l’assolo di elogi che mi sono confezionata, ma siccome il sottobraccio sta cedendo alla forza di gravità, è meglio che riservi un ricordo dignitoso della mia persona.

Perciò brindo a me, il maschio che tutti aspettavano e invece è nato femmina, l’allieva che ha buone potenzialità ma non si applica, ai prossimi quarant’anni di errori e bevute con l’impegno di conoscere il vino con la stessa curiosità con la quale osservo la vita. È tempo di imparare a salutare come le regine, perché la forza di gravità è democratica.

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