Il bicchiere del tramonto, ovvero quando età anagrafica ed età percepita si dicono addio.

Quanto mi piace la bella stagione quando fioriscono i gomiti dai finestrini delle auto. Viva l’estate e le sottane svolazzanti delle donne, viva un po’ meno gli afrori delle ascelle commosse dal caldo ma chi se ne frega! A fine giugno si entra nel segno del Cancro e io già ne sento i benefici in quanto autorevole esponente della categoria.

Archivio la giornata lavorativa e decido di meritarmi un aperitivo. Vado nel bar della via dove risiedo, approfitto dei tavolini all’esterno e mi godo una birrona formato secchio. Il posto mi piace perché non c’è l’obbligo delle chiacchiere conviviali a tutti i costi, e siccome ho parlato tutto il giorno voglio starmene ferma come un gatto che attraversa la strada di notte e all’improvviso viene illuminato dai fari di una macchina: occhi vigili e assenza di movimento. Osservo la vita che ride davanti a me, sono conciliante col mondo e dopo la birra mi faccio preparare anche un negroni ma con tanto ghiaccio, mi raccomando, che il segreto è tutto lì.

Ah, le dolcissime chiacchiere al profumo di feromoni! A vent’anni l’estate è molto più estate che a quaranta quando, al netto del progesterone prodotto, l’unica differenza sostanziale deriva dalla scarsa sopportazione del caldo, ma che bello vedere questi ragazzi fiaccati dallo studio per le sessioni estive, eppure così energici.

Mi sento proprio bene, sto spendendo uno di quei pochi bonus Benessere & Serenità che l’anno corrente concede con il contagocce. Mentre saldo il conto, scambio due parole con il barista: un altro ventenne sano che gioca a posare da vecchio sconfitto dalla vita. Lo ringrazio per la birra e per il negroni, mi guardo in basso e gli confesso che con il caldo ogni sorso mi fa allargare di due taglie, certa che l’iperbole mi darà in cambio una lusinga quasi indirettamente richiesta. Il ragazzo mi guarda perplesso soppesandomi con gli occhi e alzando un sopracciglio mi spiega che il fenomeno non dipende dal caldo, ma dall’età; sei vecchia, chiosa.

Naturalmente rimango quel gatto illuminato dai fari mentre attraversa la strada di notte.

Non replico, non reagisco, sto ferma. Stordita.

Sarà stato il leggero ottimismo alcolico a frenare la furia molesta nei confronti dell’hipster, oppure la sicurezza di una pensione che io forse prima o poi annuserò, mentre a lui e tutta la sua generazione di annoiati sarà certamente negata. Non saprei. Di certo è grazie al mio latente alcolismo se il ragazzo si può permettere uno stipendio, perché se aspetta i suoi amici di ritorno da Ibiza o Formentera, sta fresco per tre mesi. Senza contare che nonostante la vita che conduco e con il lavoro che faccio, indosso una carcassa di tutto rispetto e non credo che a parti invertite l’hipster malmostoso potrebbe fare altrettanto.

Quelli della mia generazione sono cresciuti spiando dal buco di una serratura in compagnia di Lino Banfi e Renzo Montagnani le donne che si insaponavano; i miei coetanei sono diventati grandi ringraziando zie e venerando di sottecchi le avvenenti amiche della mamma, probabile causa delle prime polluzioni notturne. Parafrasando l’epitaffio di un celebre affresco – una delle poche cose che il mio cervello sfiancato ricorda dai tempi dell’università – io fu’ già quel che voi siete, e quel ch’ i’ son voi anco sarete. Ricordo bene il fastidio che provavo nel vedere persone molto più grandi di me imitare quello che potevo fare solo io per concessione anagrafica, perciò è bene rendere i fatti più semplici di quello che appaiono: i giovani mi detestano perché pascolo nei loro prati, presidio le loro roccaforti ascoltando la loro musica e i loro discorsi oziosi pur non avendone facoltà, o più semplicemente, bevo più e reggo meglio. Io invece mi perplimo perché sono passata da teen a granny senza diventare milf.

Che questo episodio sia accaduto a poche settimane dal mio prossimo compleanno, non è certo un caso.

Dovrò bere qualcosa per non pensarci troppo.

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