MANIFESTO

Alle rocker patinate e graziosamente trasgressive ho sempre preferito la popstar Britney Spears nella versione Bestia di Satana, quando cioè, in un raptus delirante, è entrata dal parrucchiere e ha preso la macchinetta tosacapelli passandosela sul cranio con gli occhi spiritati.

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Sono una persona volgare. La mia non è una volgarità d’animo; io sono proprio volgare nel senso che ho un eloquio che spesso è volgare, mi fanno ridacchiare sotto i baffi le battute volgari, la volgarità ha un effetto attraente e repulsivo, lo stesso che provo per i formaggi che non mangio: più puzzano e più li annuserei per il piacere di sentirmi disgustata.

Non mi sento del tutto libera di esprimermi, perché se lo fossi senza il filtro della natura femminile che mi è toccata in sorte, sarei più cruda del vecchio Hank Chinaski; probabilmente sarei anche l’omino più divertente con cui andare in giro per scorribande, la superstar del bar-caffè Mokaflor che si cerca al bancone  in acciaio graffiato, accanto ai videopoker. Se solo potessi togliere il freno tirato dell’educazione del gineceo nel quale sono cresciuta, darei fondo ai tumulti della mia testa che invece mi trovo a filtrare stando appena sulla soglia.

Sono fieramente consapevole che il mio valore non si misura dall’esuberanza del mio utero, che invece è timido e non ha scodellato trofei come Sofia Loren in “Ieri, Oggi e Domani”. Anzi, se fossi stata la protagonista dell’episodio, probabilmente non avrei avuto problemi a scontare la pena in gattabuia anziché svicolare dalle difficoltà grazie alla propria fertilità, immolandosi al madrematernismo più stucchevole. Per mia natura, sono orribilmente onesta e ho un senso del dovere da militare. E, a dirla tutta, quella scena mi ha sempre trasmesso un forte senso di disagio: le donne non possono essere questo.

Bevo. Bevo con un piacere di cui non riesco ancora a coglierne la natura: non so perché mi piaccia bere; sicuramente per ciò che sto bevendo, ma anche per altro. Non capisco se è l’amore universale che pervade il corpo dopo un po’ di assaggi di calice, oppure perché davanti al vino si discetta di massimi sistemi in modo così trasversale da mettere allo stesso livello la politica internazionale con la storia del vino che si sta degustando, per chiosare con l’aneddoto sessuale a cui è legato il ricordo del precedente assaggio. Vorrei bere come beveva Winston Churchill o Ernest Hemingway, fare sontuose bevute e avere quattro stomaci come una mucca, senza preoccuparmi del deposito di adipe da zuccheri inutili, che a quei livelli l’alcolismo assume solo una connotazione romantica.

C’è stato un tempo in cui mi beavo di chiacchiere da coiffeur. Allora avevo una trentina di anni e una vita da riempire con gli affari degli altri. Adesso, se capita mio malgrado di prestare orecchio a discorsi che non hanno stretta attinenza con la mia vita, l’istinto di autoconservazione mi impone di manifestare tutta la scarsa tolleranza attraverso moti d’ira che non ho più voglia di controllare.

Agli altri non do l’accesso al cento per cento a ciò che sono, perché chi sono non ha vita facile. Un continuo barcamenarsi tra avrei potuto essere un po’ più e avrei dovuto essere un po’ meno.

Ma ho deciso di prendermene cura, perché è ora di amarmi.

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