Quando il mondo è cambiato, ho deciso di cambiare anche io.

Ho scritto e cancellato, riscritto e revisionato questo post; nonostante ciò ai miei occhi continua ad essere ridondante e ampolloso. I pensieri si affastellano e le parole giuste sono tutte lì, sulla punta delle dita che non riescono a battere i tasti come si deve per dare un ordine, un senso, un’idea di quello che sto vivendo emotivamente da tre mesi a questa parte. Un grande dispendio di energia, mille pensieri e la sensazione di non riuscire a fare le cose per tempo, come se stessi sempre ai piedi della montagna da scalare; fortunatamente ho il sostegno e l’aiuto di chi collabora all’esecuzione del progetto, perché da sola immagino mille cose bellissime e diverse ma solo insieme ai soci, i compagni di viaggio, riesco a mettere in fila tutti i passaggi necessari alla loro realizzazione.

Andando a ritroso tra le pagine del blog, oltre al consueto disagio dovuto alla rilettura dei propri scritti che è paragonabile solo al vago imbarazzo di quando si viene sorpresi a cercare pepite d’oro all’interno del proprio naso, non posso fare a meno di notare la felice distanza che sono riuscita a mettere tra quella voglia di riscatto -più volte emersa nei miei racconti- e la banale consapevolezza che la propria realizzazione, la valorizzazione di sé non passa attraverso di esso, ma dipende esclusivamente dalla nostra volontà.

Per quanto riguarda il mio personale curriculum, non mi sono sottratta al solito frittomisto di colloqui di lavoro con richiesta di approvazione del piano procreativo da parte delle aziende interessate al mio profilo, scarsa considerazione per i medesimi progetti presentati dai colleghi uomini di sesso maschile, mancati riconoscimenti nonostante la comprovata produttività… Insomma, lavoro da quando andavo all’università, da un milione di anni fa, o forse due; nel tempo ho accumulato una bella crestomazia di punti-svantaggio di cui si parla quando si tratta l’argomento donne e lavoro.
Con l’esperienza ho imparato a viaggiare leggera e a cercare il mio valore dai risultati ottenuti; una considerazione abbastanza ovvia in senso generale, che racchiude una consapevolezza non così scontata come sembra, visto che da sempre, in quanto donna, sento incombere lo sguardo giudicante di chi osserva e viviseziona il mio operato. È tempo di rendere conto solo a me stessa, tutt’al più il massimo che posso concedere lo devo alla mia banca.

Non ci si emancipa per far dispetto a chi ci ha fatto vivere ingiustizie e torti; lo si fa perché, dopo aver compiuto il giro della morte accumulando esperienze di ogni tipo, ci si può illudere di sapere chi sei e cosa vuoi davvero dalla vita, qual è il proprio talento e come si reagisce di fronte alle bastonate dalle quali -ora lo sappiamo- si sopravvive quasi sempre.

Quarantacinque anni quasi quarantasei, pochi risparmi in tasca e una pandemia in corso: questi sono gli ottimi motivi che mi hanno spinta ad uscire dalla bolla, lasciare il lavoro da dipendente con ferie pagate tredicesima quattordicesima malattia e CIG che di questi tempi non dà mica fastidio, anzi!, per buttarmi a corpo morto nel progetto che da tempo spingeva in qualche parte della mia testa, proprio nella parte del cervello dove si sviluppa il ragionamento e quella che libera le emozioni.

Se tutto va bene e i lavori proseguono con questa lena, a primavera inoltrata aprirò la mia enoteca.

1 Comment
Previous Post
Next Post
Shares