Storia di una grande stanchezza.

 

“Se non vi è rimasta molta anima, e lo sapete, vi resta ancora dell’anima.”

Incredibile come due grandi annate siano state gli anni più devastanti della mia carriera personale.

Duemilaquindici finisci in fretta, archiviamo questi dodici mesi di aspettative disattese e calci sui denti, hai vinto tu e mi arrendo. Basta così. Basta. Come te c’è stato solo il Duemiladieci.

Cosa hai vinto, vediamo.

Hai vinto una spremuta di anni che mi hai portato via in un’unica botta. Bel bottino, complimenti, certo sei di gusti grossolani. Distribuiscili a chi ne ha più bisogno di me, che ne so, a Belèn; sia mai che le crolli la faccia per le notti insonni passate a farsi i selfie. Va bene insomma dalli a chi vuoi tu; ora ho capito a cosa si riferisse mia madre quando diceva “si invecchia di dieci anni in dieci anni, una sera vai a dormire che sei tu e la mattina ti svegli con dieci anni in più sulla faccia”. Fosse questo il problema, chi se ne frega: è fisiologico. Ma ho bisogno di spurgare questa cosa che ho dentro la testa e che sta sedimentando pericolosamente.

Cerco di astrarre il pensiero e quello che viene fuori è una crestomazia di momenti fotografati e sconnessi, eppure legati da un minimo comune denominatore che permette il passaggio tra un vaffanculo e l’altro. Perciò è bene che mi perda, e se il filo logico è chiaro tanto meglio; io non so se riuscirò a capirmi e poi mentre scrivo fuori in giardino, in campagna, c’è quell’ animale che fa un verso strano e angosciante; ma quale animale emette un suono a metà tra un lamento e il pianto? Secondo youtube dovrebbe essere un allocco ma per scrupolo il cane non lo faccio uscire; e se poi il mostro/volatile che si lamenta tra le querce me lo mangia? Dovrei piangere anche Maccarone?

Io mi chiudo bene dentro casa, e mi ci bevo pure un bicchiere di vino rosso potente pastoso e pesante – proprio il genere di rossi che non amo, ma non voglio un vino buono, di qualità. Non voglio aprire una bottiglia della cantina mia, ne farò fuori una di quelle che tengo per gli amici che sono un po’ meno amici di altri, e bevendo capisco che tutto era chiaro dall’inizio, dal gennaio durante il quale non mi è stato rinnovato il contratto perché (pare) non indossavo più i tacchi per stare alla reception. Ma alla fine chi aveva voglia di rimanere lì, in quel posto dove la mattina quando la gazzella si svegliava mi faceva il gesto dell’ombrello scoppiando in una fragorosa risata col cazzo che io scappo, là dove vai  ci sono predatori peggiori del leone e te li cucchi tutti tu bella mia! Sto ferma e ti guardo, meglio un leone affamato di un uomo allupato. E allora la decisione, che fare a quasi quarant’anni? Continuare a lavoricchiare oppure dedicarsi a qualche bella passione antica, e magari renderla redditizia? Faccio il salto oppure no? E giù a studiare per imparare a vendere i vini all’estero, accise e dogane, mercati da sondare ma guarda la Colombia, quelli spendono eh? Dai, mettiamoci pure a fare qualche degustazione, e che vita è sennò. Ora ho raddrizzato il tiro e mi concentro su di me, forse avrei fatto bene a concentrarmi meno perché a furia di prendermi sul serio pure le mie ovaie hanno iniziato a lavorare come matte e alla soglia dei quarant’anni, poco prima del mio compleanno ZAC! Ci sono rimasta, eppure in famiglia le donne alla mia età non dico che vanno in menopausa ma quasi, e adesso che faccio? Proprio ora che avevo iniziato a riprendere il bicchiere in mano e non per far serata!, oddio devo stare pure ferma che il battito è debole, non mi posso muovere, mi sono mossa troppo? Ho fatto la doccia con l’acqua troppo calda e l’ho bollito? È stato il cane che mi ha fatto troppe feste e mi ha spinta con forza incontrollata, oppure erano i dubbi sul futuro incertissimo senza lavoro sicuro e senza entrate regolari, io non lo so cosa sia stato ma da un giorno all’altro il battito è sparito e la dottoressa si deve premurare di spegnere il volume dell’ecografo prima di infilare quel coso dentro, che io li so leggere i monitor, so dove è indicato il volume, è inutile che mi scuota la pancia: lo sento che non c’è più. È stata colpa mia oppure no, non lo so, ma non posso stare male troppi giorni ché devo tornare di nuovo con la testa su quello che ho tralasciato per qualche mese e non si può stare fermi o si è perduti; intanto il corpo si è rammollito e non ha ancora capito che dentro non c’è nulla: cosa ci faccio con tutto questo seno, a che mi serve? Torno a degustare, arrivano i quarant’anni e arrivano per scommessa, chi l’avrebbe mai detto. Eppure li passo non del tutto sana ma sicuramente salva, e il dottore mi dice lei ha troppa rabbia dentro, è addolorata e rabbiosa, vada a fare questa disciplina asiatica di lotta meditata o meditazione lottata, non ricordo. Ma io non sono tipo da lotte né da meditazioni, la meditazione è una roba da masturbatori mentali mi dico, e allora che faccio? Dove incanalo tutta questa cosa che ho dentro ed è silenziosa, e mi esce fuori quando meno me lo aspetto e nel momento più inopportuno, dove.

Inizio a scrivere.

Scrivo, e appena scrivo i pensieri tornano lisci ordinati e fluenti come i capelli di Sharon Zampetti che ho sempre invidiato da ragazzina, io che ero riccia e mora. Scrivendo mi viene pure da ridere, ma non escono risate autocompiaciute: rido di gusto, mi ritrovo a sogghignare quando metto in parole scritte le cose che mi capita di vivere, e ridimensiono tutte le brutture quotidiane e anche quelle che mi porto dietro come tutti, quelle che mi hanno fatto diventare la persona impaurita che sono ora.

Bevo, gusto, apro bottiglie e confronto preferenze, tutti ne sanno più di me che non ne so un caz nulla e non mi importa che si sappia. A me piace parlare di vini perché mi piace il vino e il suo potere evocativo, e allora sono quasi impaurita che adesso le cose vadano meglio. Vanno troppo bene, ho paura. Di cosa hai paura? Che vadano bene, ti ho risposto e anche se mi abbracciavi io non ho saputo trasmettere cosa intendevo dirti, e ora mi ritrovo qui senza averle potuto parlare di me, senza averle potuto dire quello che sono e perché sono diventata così, e tutto per colpa della mia timidezza. Lei riservata, io timidissima, tra noi erano più i silenzi che le parole. Eppure c’era un’affinità rara, chiarissima e percepibile. Il mare ci ha insegnato a essere prudenti, mi ha guardata e mi ha sorriso, e poi l’ultima rosa di novembre regalata perché capissi quanto fosse riconoscente per l’aiuto che le stavo dando. E adesso che non c’è più, io cosa faccio? Adesso che ho quarant’anni e come sempre ancora una volta mi ritrovo a percorrere una direzione che non era quella che stavo dando alla mia vita. Adesso sono una donna senza discendenza e con due uomini complicatissimi e straordinari che si appoggiano a me, e cosa darò loro, io che non riesco nemmeno a fare da tutore alle mie ambizioni?

Che poi non è né più né meno quello che capita di vivere alla maggior parte delle persone. Eppure mi sembra una cosa insormontabile, talmente grande che mi sento dotata di una paura nuova di zecca. Una specie di arma puntata contro di me.

Adesso sono io a chiedere un consiglio, cosa posso bere per celebrare questo passaggio che mi trova del tutto impreparata? Non ne ho idea, nel dubbio da quattro giorni ho ripreso a fumare, e non fumavo da dieci anni. Una al giorno, le nascondono ma le ritrovo. Mi vanno le sigarette, che devo farci.

Sono stanchissima. Chi sa dirmi quali sono le previsioni per l’annata Duemilasedici?

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Schizzo a matita dell'amico F.S. in arte Sudario Brando, che quei momenti se li ricorda bene perché è allora che ci siamo conosciuti.
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